IL SILENZIO COME MASSIMA ESPRESSIONE DELLA SPIRITUALITA

Prof. Massimiliano Messieri e Michele Selva /Italy/

Nel corso della Storia della Musica il silenzio e stato relegato esclusivamente nella sua figura metrica: la pausa. Tutta l’espressivita, l’intensita la purezza cosi come la spiritualita sono state affidate per concezione al suono udibile e conseguentemente il significato di suono e equivalso a quello di tono. Pertanto la musica composta sino alla meta del secolo scorso (e per alcuni compositori ancora oggi) e stata creata pensando alle relazioni tra un tono e l’altro: musica tonale, atonale, dodecafonica, ecc. Tutto cio ha generato un tragico fraintendimento tra la scrittura e la concertazione.

Il non-considerare il silenzio (pausa) come contenitore e inossidabile fondamenta della struttura musicale ha distolto il compositore da cio che rende la Musica un’arte. L’espressione dell’Io verso Dio.

Fintanto che la musica ha avuto una funzione di elevazione al Creatore ed e stata investita nel suo ruolo piu alto, quello sacro, i compositori hanno prestato maggior attenzione al rapporto tra silenzio e suono, ove il primo era contenitore e mezzo di separazione del secondo (vedi ad esempio la tecnica del contrappunto vocale nel Cinquecento).

Lo stesso Johann Sebastian Bach nella sua immensa produzione di Musica Sacra ci suggerisce quanto e importante la pausa, il silenzio, il respiro. J.S. Bach utilizza, infatti, la pausa come contenitore di frasi di suono udibile (vedi, Ach Grosser Koning Corale 28 o Herr Unser Herrscher Coro 1 dalla Passione Secondo Giovanni BWV 245, per citare qualche esempio).

La massima espressione della spiritualita e posta proprio tra un suono e l’altro, tra un accordo coronato e quello successivo, in quel breve istante di respiro quasi esalante sia il musicista sia l’ascoltatore sono sospinti e guidati verso l’Altissimo come in un’iniziazione all’Indicibile.

Questo contenitore di suono, dove le estremita Alfa e Omega si uniscono nella creazione di un’Arte Metafisica, e rimasto solo nella prassi esecutiva e raramente nella concezione compositiva. Man mano l’interesse dei musicisti si staccava dal suo ruolo religioso per esplorare nuove frontiere tecnico-espressive e il rapporto tra silenzio e suono si e andato a sgretolare. Solo alcuni musicisti durante il periodo tonale e sino alla fine dell’800 hanno mantenuto viva la dialettica tra questi due poli. Tra questi Ludwig van Beethoven e Johannes Brahms, si veda ad esempio nella Sinfonia n.5 in Do minore op. 67 del primo e nella Sinfonia n.1 in Do minore op. 68 del secondo come la pausa (silenzio, respiro) sia di incredibile importanza e generi una tale tensione e pathos nell’animo umano che a tutt’oggi anche l’ascoltatore piu profano dopo un solo loro ascolto resti sensibilmente attratto come un asceta o una pecora al suo pastore.

Nonostante il ‘900 sia stato un secolo che ha sconvolto le abitudini uditive di molti ascoltatori, frantumando anche quel legame tra musicista e pubblico, per via probabilmente di una continua mutazione tecnico-armonica, proprio nel Novecento i compositori tornano a valutare il silenzio come parte musicale della struttura musicale. Un ruolo importante a questa vasta rivalutazione dell’Assenza come Presenza l’ha avuta l’interazione del pensiero artistico che si e sviluppato nel secolo scorso: sia Vasilij Kandinsky nei suoi Scritti metteva in evidenza l’importanza del binomio bianco-nero, sia Piet Mondrian sulla profondita del nero e del bianco, cosi come Kazimir Severinovič Malevič nelle sue pure sensazioni dell’assolutismo monocromo (Quadro nero su fondo bianco e Quadro bianco su fondo bianco). A partire dalle Variazioni op. 30 di Anton Webern, dove la materia sonora, puntillista, e contenuta nei silenzi che la precedono e la seguono, una serie di compositori hanno iniziato ad indagare l’Oggetto Sonoro nella sua totalita, avvicinando la ricerca musicale verso l’espressione piu alta dello spirituale: l’inudibile.

Da sempre la pausa (il silenzio) e servita al concertatore per concentrarsi prima di un attacco, come se il suono giungesse dall’Alto, al fine di manifestare la musica nel suo splendore; da sempre il silenzio e servito all’ascoltatore per sintonizzarsi simbioticamente al musicista e godere tra un suono e l’altro, nei respiri, sino alla fine della partitura dell’innalzamento spirituale. (M.M.)

Spiritualitá e silenzio nella musica italiana dagli anni cinquanta ad oggi (Alcuni esempi)

Nella produzione musicale moderna e contemporanea italiana si ritrovano esempi tipici e archetipici di utilizzo del silenzio e della pausa come espressione di una spiritualita sia genericamente “trascendente” che totalmente legata alla sfera dell’umano e delle sue potenzialita. Esempio principe e quello della produzione di Luigi Nono soprattutto per quel che riguarda la sua ultima “pratica” che si muove all’incirca dalla fine degli anni Settanta (…sofferte onde serene…e del 1976) a tutto il catalogo degli anni Ottanta, amplificata anche dalle sperimentazioni elettroniche compiute presso lo studio di Friburgo. Per Nono, prendendo le mosse da Bellini, Skrjabin, Varese, Debussy, Strauss, Wagner, le pause e il silenzio (con l’uso di ampie corone) altro non sono che apertura verso una molteplicita di significati e di possibilita; una sorta di “momento sospeso” gravido di tensione verso l’udibile e soprattutto verso le tensioni spirituali dell’inudibile. E lo stesso compositore, in questo senso, a tracciare preziose analogie ricevute sia dal pensiero ebraico secondo il quale la parola divina e “silenziosa” (perché con la distruzione del primo tempio e scomparsa anche la sua vocalizzazione) sia dalla poetica “musicale” e fondamentale di Hölderlin, il quale (come in una pausa) rintraccia nella “teofania del crepuscolo” un momento privilegiato: e tra il silenzio e il suono, tra la luce e l’oscurita che il poeta si fa mediatore tra un mondo scomparso (degli dei antichi) e un mondo che ancora deve venire. Infatti e proprio a Hölderlin (con le sue citazioni silenziose) che Nono dedica, nel 1980, il suo celebre quartetto “Fragmente stille, an Diotima” nel quale, con un immenso campionario di corone e pause, rende l’ascoltatore sensibile ad ogni impercettibile evento sonoro aprendo appunto lo scenario all’immaginabile “cifra del possibile” (es. 1). Nel 1984 Nono, assieme a Massimo Cacciari, arrivera addirittura a fare del silenzio una vera “drammaturgia” con il suo Prometeo, tragedia dell’ascolto “opera” nella quale la necessita di dare forma alle istanze dell’inudibile investe ulteriori problematiche spaziali e filosofiche: rieducare al possibile-silenzio, ascoltare i colori e gli spazi. Meglio di ogni analisi chiariscono le idee le parole dello stesso Nono sopra l’ultima pausa coronata del coevo A Carlo Scarpa, ai suoi infiniti possibili (1984): “Tenere corona lunga (come) per continuare a ascoltare presenze-memorie-colori-respiri”. (es. 2)

Esistono tutta una serie di compositori (facciamo solo pochi esempi) il cui pensiero e influenzato piu o meno direttamente da quello dal compositore veneziano. Per Gilberto Cappelli, segnalato a suo tempo da Nono, la pausa (silenzio) assume ancora l’idea di “attesa” e “carica” anche in senso espressionistico; ma quello che in Nono tende al pianissimo in Cappelli si rovescia sul lacerante puntando sulle possibilita (anche fisiche) estreme dell’esecutore. (es. 3). Invece per Massimiliano Messieri, gia allievo tra gli altri di Cappelli, la pausa diventa spirituale e liturgica nel senso di un “soffio vitale” fisico e metafisico al contempo. La pausa e il luogo mai delimitato dal solo “spazio-battuta” in cui il suono ha origine dal “pneuma-gesto-vita-saliva” e nel quale poi si richiude con i contorni indefiniti e sempre “possibili” del silenzio. In Messieri queste epifanie sonore e silenziose si presentano come genesi e vita di un suono-klang quasi primordiale che diventa soggettivo (e in questo senso sacro) anche perché legato alle possibilita e caratteristiche dell’esecutore e alle potenzialita e catarsi dell’ascolto nelle sue dinamiche piu estreme. (es. 4) Infine in Gualtiero Dazzi, i cui punti di riferimento si rintracciano in G. Scelsi oltre che in Nono, la pausa assume la grana indefinita di rumore-inudibile-suono moltiplicando le varieta possibili di ascolto secondo i gesti e il respiro dell’esecutore (Scelsi) e lavorando anch’egli su escursioni timbriche che si agitano dal nulla indefinito o iper-definito (Nono) fino al fortissimo piu improvviso. (es. 5)

A fianco degli esempi succitati esistono anche altri modi essenzialmente complementari di intendere il silenzio; un caso su tutti: per il compositore toscano Sylvano Bussotti la pausa e “giocata” in un contesto piu “profano” e liberatorio. La dialettica silenzio-suono e spesso intesa in maniera chiaramente gestuale, quasi teatrale, e spesso gli spazi tra le note sono fondamentali per liberare e stimolare le capacita creative dell’esecutore. (es. 6)

Per concludere questo campionario di utilizzi del silenzio e della pausa un ultimo esempio che si colloca per antonomasia al di fuori di ogni scuola o pensiero non solo italiano ma anche occidentale: Giacinto Scelsi. La sua musica e filosofia non solo non e riconducibile ad alcun orientamento europeo ma per formazione e “simpatia” si colloca, con ogni sorta di moto di trascendenza, fuori dal tempo in uno spazio geografico e storico quasi archetipico: soprattutto l’Oriente ma anche la mistica cristiana, quella indu, cinese, la gnosi e lo zen. In ogni partitura del compositore italiano il contesto si fa totalmente sacro; avvicinarsi alla sua musica e come avvicinarsi ad un tempio. E qui che l’alternarsi rituale di pausa-silenzio-suono diventa il ritmo microcosmico dell’origine delle cose e dell’universo e a sua volta immagine della vita ed energia che e anche nell’uomo (come i ritmi trascendenti della respirazione Yoga). (es. 7) E questo un esempio supremo di come la musica e il silenzio siano un tratto di unione fisico e spirituale che va al di la delle cose, delle culture, delle faccende umane. (M.S.)

Massimiliano Messieri e Michele Selva

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